Recensione di Maria Gigliola Toniollo |
«...l’ho sempre protetta, la conosco da prima della sua nascita... Leila non sa del suo angelo...», è l’incipit di questo libro «a volte sospetto che mi veda...», sostiene l’ingenuo bodyguard celeste, sussurrando all’orecchio di Liliana, artista latinoamericana, maga di penna e “maga” moderna, complice di entrambi. Caro Angelo sognante, sia pure disponibile, consapevole, empatico e pacifico, ti voglio dire che invece sei sempre stato a Leila del tutto manifesto: lei gli angeli non soltanto li riconosce maliziosamente da lontano, ma sa anche come evocarli, ci convive, li soccorre, impone loro piume e paillettes da star de Noche de Bahia, cotona i loro lunghi capelli ramati, prepara per loro infusi magici e deliziosi acarajé, danza con loro in attesa del tuo tocco d’ali per il meritato sonno notturno... questo io, terrena, a differenza tua, l’ho inteso subito, la prima volta che l’ho incontrata a Roma, dopo che mi era arrivata l’eco della sua storia avvincente. Per me era un convegno, per lei era un giorno come tanti altri, iniziato all’alba per cucinare brasiliano e portare in carcere cose buone che inducessero al pranzo delle povere detenute trans, trascurate da tutti e facilmente umiliate, tanto gravemente ammalate. Leila: figlia di Dalva (stella del firmamento, affascinante maestra di salsa e di rumba, ma anche madre capace di scordarsi di tutto ballando sul balcone di casa) e - non si sa se - di un soldato o di un pagliaccio, già creatura speciale, è venuta al mondo fra gli applausi di un pubblico sconosciuto a un vecchio spettacolo, sotto un tendone da circo. Il suo angelo era fermo in attesa silenziosa fra trapezi e corde, il parto dentro una stanza mobile, mentre il ventriloquo giocava a carte con il mangiafuoco e con la donna barbuta, e una cartomante presagiva emozioni e viaggi a chi stava arrivando al mondo. Tutti in circolo attorno al letto dolorante della ballerina cubana, immersi in una miracolosa liturgia. Leila, nel medio evo della sua vita, già aveva portato segni dolenti per il suo essere transgender, tanto da essere vista da qualcuno del suo Paese come la reincarnazione del diavolo... Un’infanzia difficile, un percorso nella violenza, nell’incomunicabilità e nella conservazione, con grandi - e per molti altri insormontabili - ostacoli, dentro complessità naturali e innaturali di un mondo che tarda ancora oggi a evolversi nell’accoglienza e nella concezione della Natura. Così, sdegnando di guardare il mondo dalla finestra, Leila parte alla conquista di lidi lontani. Lascia la sua terra con l’ansia di conoscere e di crescere, ma anche a causa di qualche cosa di oscuro e imperscrutabile ai tanti di Sorocaba - e a se stessa - sino al momento della favolosa scoperta di un lungo, impalpabile abito da sposa profumato di cannella, di un paio di scarpe bianche col tacco alto, e di un grande specchio riflettente: spogliarsi, esitare e vestirsi di bianco, una cerimonia, un rito magico e propiziatorio...
Inizia una vicenda umana d’avventura, d’amore, di sesso, di bellezza, soprattutto di generosità e di altruismo, una corsa al cuore dell’America Latina, in Bolivia, sognando segretamente il Che, ma sorridendo di Don Chisciotte: «...sento di nuovo sotto i talloni, i fianchi di Ronzinante. Riprendo la strada, scudo al braccio...». A bordo de “Il Treno della Morte” che partiva da Bauru, attraversava paludi e giungle, popolazioni sconosciute, boschi, paesaggi mai visti, con le soste forzate che permettessero ai ferrovieri di disboscare i binari e le danze improvvisate di due donne sopra i pianali dei camion al suono incerto del piccolo registratore. E dopo: Caracas, la parodia di Carmen Miranda, le prime esibizioni da crossdresser, Città del Messico, poi Casablanca, poi la grande Parigi sulle orme di Coccinelle, la Germania e, finalmente, l’Italia, la festa della Candelora, e... Roma. Quando ci siamo conosciute, Leila era un’attivista del “Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli”, una delle poche realtà gay-lesbiche che includessero in quel tempo la questione trans nelle loro iniziative. Altre associazioni avrebbero compreso solo molto più tardi il rivoluzionario valore politico del messaggio trans e le eterogenee corde che legano le assai diverse situazioni di vita di omosessuali, lesbiche e trans; si temevano fraintendimenti, generalizzazioni, parificazioni, omologazioni e non c’è troppo da stupirsi di questi timori, dato il livello culturale dominante che ci perseguita ancora oggi. Leila aveva appena attraversato vittoriosamente un momento tragico, uno di quei tanti che la sensitiva le aveva profetizzato come critici per la sua vita, ed era risorta. Non dirò di più: Leila ha deciso di raccontarsi con il sogno, con le conquiste, con i colori, con il paesaggio e con la fantasia, e anche se tutti siamo in grado di leggere la fatica e il dolore che si nascondono dietro tante conquiste, non si può che rispettare la linea narrativa che è stata scelta. Quel giorno al Circolo Mieli Leila non vestiva di piume e fiori, portava un severo tailleur blu e una camicia candida: l’erede di Dalva, la pioniera di Sorocava aveva da qualche tempo intrapreso un percorso professionale nel sociale, che l’avrebbe infilata in mille ambienti istituzionali e non, dove si pratica - o si tenta di praticare - solidarietà umana. Lei lo faceva (e lo fa) con ostinazione straordinaria, mai per sé, ma sempre per un bene comune o perché trionfi una giustizia comune: quanti sit in, quanti convegni, quanti incontri “importanti”, quante mani tese e quante disillusioni, quanti faticosissimi successi... ...e ora ci ha messo mano Liliana, a riordinare tanti sogni in un libro un po’ magico, un po’ misterioso: tante immagini sulla carta per descrivere Paesi, persone, vicende e sentimenti, dopo che un angelo troppo umano e troppo angelo ha deciso di lasciare il Regno per condividere una storia terrena faticosa, difficile, eccentrica, e tanto appassionante... http://www.larosanervosa.net/spip.php?auteur2
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