L'importanza
della segnatura dei fiori |
Quando
si ricorre alla Floriterapia, per valutare un rimedio corrispondente
al profilo, che faccia al caso nostro, dimentichiamo spesso, se non
addirittura ignoriamo, paradossalmente, il fiore stesso.
Sto parlando dell'attenzione dovuta alla segnatura, cioè a tutte quelle caratteristiche morfologiche, chimiche, comportamentali, delle piante, che nell'antichità, e successivamente rivalutate da Bach, ispiravano sia razionalmente che empaticamente la scelta di un fiore piuttosto che un altro. Pensiamoci bene: sceglieremmo noi una persona, per un preciso impegno, affidandoci solo ad una descrizione delle sue caratteristiche, o preferiremmo vedere <di persona> la stessa? Ippocrate e Paracelso avevano compreso, già allora, che malattia e rimedio adatto avevano caratteristiche comuni; le grandi medicine Cinese, Tibetana, Ayurvedica e Sciamanica parlano di segni che sono impressi nelle piante, e che danno un'indicazione di utilizzo al guaritore; i popoli primitivi, nella loro assoluta ignoranza di cosa possano essere le sostanze chimiche nelle piante, si basano sull'individuazione di altrettanti segni di distinzione.... Purtroppo la dottrina delle segnature è stata lentamente depauperata del suo significato simbolico: nel tardo Medioevo, e poi nel Rinascimento, certe caratteristiche vennero completamente dimenticate, mentre altre furono usate come "etichette" per catalogare e archiviare le piante, imprimendo alle informazioni un carattere superficiale e perdendo il prezioso ausilio del processo conoscitivo di tipo intuitivo. La superstizione fu una delle cause di tale involuzione: si rifiutava lo spirito delle piante per preferire spiegazioni oggettive. Solo con Hahnemann le segnature vennero riscoperte, ma nelle loro manifestazioni interne (come la capacità di indurre i sintomi della malaria, da parte del chinino), piuttosto che quelle riferite alla somiglianza esteriore con le parti fisiche a cui erano in qualche modo collegate. Bach, nel suo percorso di medico, e poi omeopata insoddisfatto, tornò a ristabilire l'integrità della segnatura, attraverso il rapporto di comunicazione percettiva, tra uomo e pianta e rivalutando così l'opportunità della scelta empatica, in sinergia alle altre possibili valutazioni. Chissà se fu il caso o una prassi inconscia a portare quest'uomo a scoprire i batteri intestinali, e il loro coinvolgimento nelle malattie, prima, concentrando la sua attenzione verso le funzioni digestive, per poi estrapolare la considerazione, peraltro già sottolineata da Rudolf Steiner, fondatore dell'antroposofia, "che noi estraiamo le nostre energie dall'intestino", e il cibo si trasforma nei quattro elementi vitali: terra, aria, fuoco, acqua. Da qui la preziosa analogia: il seme che germina nella terra, radicando grazie all'acqua, cresce assimilando l'aria e punta verso il sole; un processo di trasformazione anch'esso, ma tipico della pianta, quell'essere vivente che raggiunge, col culmine della fioritura, il massimo dell'espressione vitale e il termine dell'esistenza (che riprenderà con il nuovo seme). Ecco che dunque perché la pianta e il suo fiore non possono essere dimenticati, nella loro completezza, o semplicemente relegati nello sguardo di una fotografia sbiadita: così come oggi ci rifiutiamo di considerare l'Uomo fatto di un corpo separato da una mente e da uno spirito, richiamare nella propria mente l'identità della Natura materializzata nel fiore, significa ricollegarsi agli archetipi che ispirarono Bach, e recuperare ogni informazione preziosa che permetta di individuare precisamente il temperamento della persona, il suo terreno, e metterlo in relazione vibrante col rimedio più simile. Gisella Cannarsa
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